Apro gli occhi ancora un po' assonnato, e subito sento un dolore sordo e martellante alla schiena. In un attimo mi rendo subito conto di dove mi trovo e dove sto andando. Sono semi seduto sul sedile di un autobus che tra due ore circa mi porterà a Matera, sto tornando a casa per le vacanze estive, siamo all'ultimo giorno di Luglio e subito dopo qualche imprecazione mi riprometto per l'ennesima volta che, maledizione, mai più farò questo viaggio in pullman.
Dopo aver messo a fuoco il sedile davanti al mio, vedo un piccolo puntino che si muove sul poggiatesta. Si sposta smarrito in cerca di chissà cosa: destra, sinistra, avanti, indietro. Viene verso di me, ora lo vedo bene, è una formica.
Il sole inizia a scaldare dall'ampio finestrino, chiudo gli occhi ed espongo il viso alla luce e al calore dei raggi che passano tra una tendina e l'altra. Come ci sarà finita una formica su un autobus? Questa domanda si fa strada facilmente tra il nulla dei mie pensieri. Forse l'avrà portata a bordo uno dei passeggeri che prima di salire attendeva la partenza in una qualche aiuola vicino alla fermata, magari sarà salita sulla sua scarpa inconsapevole di dove si sarebbe trovata. Poteva essere allora qualsiasi fermata, poteva essere una formica pisana, pratese, pistoiese, fiorentina o senese. Così riapro gli occhi per guardarla meglio, come se dall'aspetto sarei riuscito a carpire un qualche dettaglio da usare come indizio per poter capire la sua provenienza geografica.
Era sparita, l'avevo persa di vista, nascosta in qualunque meandro di autobus che per lei era immenso. Così sono rimasto fino alla fine del viaggio pensando alla storia di quella formica che si è ritrovata a chilometri di distanza da casa sua, lontana dal suo formicaio, lontana dalle sue abitudini, lontana dal suo mondo.
Mi piace pensare ora che sia rimasta tutto il giorno sul pullman, che abbia fatto il viaggio di ritorno la sera seguente e che sia scesa dalla stessa fermata da cui era salita. Ritornata nella sua aiuola, nel suo formicaio tra le sue coinquiline a riprendere la vita di sempre, magari ripresa perché sparita così, senza motivo, per ventiquattro ore.
Lavorerà per l'inverno che verrà, come le altre, ma con una storia da raccontare, quella di quando è stata in posto in cui ha visto sessanta persone che dormono, russano, imprecano, stipati come sardine, doloranti e fiaccati da un viaggio interminabile, ma che quando scendono ritrovano immediatamente il sorriso e le forze al primo respiro di aria di casa.
Nessun commento:
Posta un commento
... lascia un commento al post.